Intervista a Cinzia Mascheri, educatrice di Casa Clementini.
- Qual è il principale cambiamento avvenuto nel lavoro dell’educatore di comunità residenziale per minori?
«Quando mi fermo a pensare al mio lavoro non posso evitare che la mente vada a ripescare ricordi del passato, un passato abbastanza prossimo, peraltro, visto che faccio questo mestiere da “appena” 18 anni.
Eppure, a volte, mi sembra sia passato un secolo visto quanto sono cambiate le cose… Ma tranquilli non vi annoierò con un elenco di fatti che sono diversi oggi rispetto a ieri o con un melodrammatico elogio del passato, del tipo “si stava meglio quando si stava peggio”!
Il cambiamento che forse interessa di più a noi educatori di comunità è il fatto che negli ultimi anni sia mutata radicalmente la tipologia dei minori accolti, con una tale rapidità che non siamo riusciti a prepararci in tempo, tanto che ancora stiamo studiando approcci teorici e nuove strategie di intervento.
Se fino a pochi anni fa i minori stranieri costituivano una minima percentuale tra gli accolti nelle comunità, oggi sono la stragrande maggioranza.
Generalmente li accogliamo subito dopo il loro arrivo in Italia e, di conseguenza, senza che sappiano una parola della nostra lingua; spesso non hanno niente se non i vestiti che indossano, molti di loro hanno affrontato un viaggio in condizioni agghiaccianti, per non parlare delle situazioni in cui vivevano nel paese d’origine.»
- Quali sono le maggiori difficoltà del tuo lavoro?
«Il nostro compito è molto delicato: l’accoglienza, nel migliore dei casi, è mediata da un interprete, altrimenti si trasforma nel gioco dei mimi; nelle prime settimane capirsi è come vincere al SuperEnalotto, a meno che non si conoscano almeno quattro lingue. Ma la cosa più difficile è gestire il poco tempo che si ha (dato che spesso questi ragazzi sono prossimi alla maggiore età) per fargli imparare la lingua, assolvere l’obbligo scolastico, integrarli nella società, aiutarli a trovare un lavoro e una casa per quando usciranno.»
- Qual è la maggiore soddisfazione che ricevi dal lavoro che svolgi?
«Verrebbe da pensare che sia diventato impossibile portare a termine progetti positivi, eppure spesso ci riusciamo…. grazie alla volontà di questi ragazzi di creare relazioni vere e disinteressate; di avere qualcuno che li accolga per quello che sono, senza spaventarsi per il pesante bagaglio che si portano appresso. Questi giovani si confrontano con gli educatori che credono in loro e che si spendono per aiutarli, che li guidano a diventare uomini e donne senza negargli il diritto di essere ragazzi (che significa prendere decisioni per il loro bene, decisioni che comprenderanno in futuro)…. e in questo, per fortuna, i ragazzi di oggi non sono molto diversi da quelli che accoglievamo in passato.»