Fondazione San Giuseppe per l'aiuto materno e infantile Onlus

Cari Educatori, Cari Ragazzi

Lettera ai miei Educatori

Cari educatori,

oggi è il mio ultimo giorno qui con voi; in questi anni mi siete stati molto vicini, eravate lì ad accogliermi quando tornavo da scuola, mi svegliavate al mattino, eravate pronti ad ascoltarmi quando ne avevo bisogno. Eravate lì anche quando la sera rientravo tardi e partivano lunghe discussioni, per farmi capire i miei errori.

Quando ero appena arrivato pensavo che il vostro fosse solo un lavoro e che non vi affezionaste veramente a noi ragazzi e al nostro futuro, ma con il passare del tempo ho capito che, se siete qui, è perché tenete veramente a noi.

Se devo essere sincero sono tante le volte in cui non mi siete andati giù, per esempio quella volta in cui eravate impegnati al telefono e io avevo bisogno di sfogarmi con voi per l’incontro avuto con la mamma; oppure quando ho dovuto ripetere a ognuno di voi che avevo urgente bisogno delle medicine e sono passati giorni prima che vi siete organizzati.

Sono contento di essere stato in una comunità con educatori maschi e femmine, perché con le figure maschili ho potuto condividere parole “tra uomini” o imparare cose quotidiane come il farmi la barba, che sembrano banalità ma non lo sono. Le mie educatrici invece, mi hanno ascoltato un sacco e mi hanno dato consigli preziosi.

So che è difficile mettersi nei nostri panni e cercare di capire cosa ci frulla nella testa, ma vorrei chiedervi di provarci sempre. Provate a capire il nostro punto di vista! Solo se ci ascoltate col cuore, e non solo con le orecchie, potrete davvero aiutarci!

Mi avete aiutato a crescere in questi anni, spero un poco di avervi aiutati anche io. Tornerò a trovarvi e spero di sentirvi anche quando sarò fuori, perché ormai siete parte della mia vita.

Risponde Elisa Sacchetta, educatrice della Cooperativa il Millepiedi, Responsabile della Comunità Educativa per minori Casa Borgatti della Fondazione San Giuseppe di Rimini

Cari ragazze/ragazzi,

vi chiamerò semplicemente “ragazzi”, perché non posso nominarvi tutti. Questa lettera è indirizzata a voi che avete condiviso con me un pezzo di strada: a volte si è trattato di qualche giorno, a volte di mesi o di anni. Momenti fatti di conoscenza, condivisioni, cura, regole, richieste, organizzazione, confusione, diversità, sogni, insomma… di quotidianità. Giorni fatti di tante storie che si incontrano, si attraversano e traboccano, che non ce la fanno più ad aspettare restandosene chiuse nella testa. Storie che hanno voglia di ricominciare, discutere, litigare, ascoltare e progettare insieme.

Nel tempo ho imparato a decifrare uno strano codice fatto di smorfie del viso, sorrisi e di una luce negli occhi che da incerta, dubbiosa, timida, spavalda, arrabbiata, piano piano fa strada a una luce intensa e speciale, che scalda il cuore di ogni educatore. È vero, a volte questa convivenza non è facile, le risposte non arrivano subito, ci si deve un po’ adeguare ai tempi e alle caratteristiche di tutti, ragazzi e educatori compresi. Capita di non sentirsi capiti e non sempre si è pronti ad ascoltare. Il mattino c’è un educatore, il pomeriggio un altro e la sera un altro ancora. A volte è un vero caos, nella sala tv c’è un ragazzo che ride, nel corridoio un altro che urla, qualcuno fa richieste, qualcuno chiede attenzione, e qualcun altro deve essere accompagnato a scuola… le regole vengono dimenticate e bisogna rincominciare da capo.

Ogni tanto avrete pensato che lo sguardo dell’educatore non era abbastanza allenato a cogliere i particolari più nascosti e i dettagli più intimi, troppo preso dalla routine, dalle riunioni o dal portare avanti alcuni progetti. In realtà ogni educatore vi ha sempre in mente, anche quando si sta occupando di qualcos’altro o di qualcun altro. Tutto in comunità ha il sapore di intenso, di vissuto e di bello: cucinare e mangiare insieme, condividere il proprio futuro, le gite, le vacanze, riorganizzare e creare per rendere la comunità una casa accogliente, le chiacchierate prima di andare a letto, in macchina o davanti a un caffè, conoscere amici, fidanzati/fidanzate, le ramanzine, la porta che sbatte, un abbraccio, il “che palle”, e il “grazie”.

Quest’incontro diventa un pezzo di strada che ciascuno percorrerà con i mezzi di cui dispone e con la propria andatura, ma con la certezza di non essere solo e che arriveremo a un traguardo. E alla fine questo andare avanti insieme ci avrà un po’ cambiati e un po’ arricchiti, tutti.

Vi dico grazie per avermi insegnato che una ferita è sempre un’occasione, che non bisogna avere paura del fallimento e del tradimento (tutto non va come l’educatore aveva previsto), ma è importante continuare a dare delle possibilità e a proporre il cambiamento: provarci sempre.

Continuate a regalare il vostro entusiasmo e la vostra forza, continuate a portare avanti i vostri desideri a testa alta, continuate a costruire, continuate a rialzarvi ogni volta che inciamperete… e soprattutto, teneteci aggiornati su come è andata!

Articolo pubblicato nel Magazine di Vita dedicato agli Affidi

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